Per mantenere viva la Memoria dell’Olocausto e per una visita più consapevole al museo-campo di Auschwitz, essere a conoscenza delle testimonianze e delle storie dei sopravvissuti allo sterminio è davvero importante!
Considerando anche i tentativi di negare, banalizzare e perfino razionalizzare il genocidio, i racconti di chi è riuscito a uscire dai campi di concentramento diventano dei reperti preziosi per conoscere la verità e continuare a ricordarla.
Inoltre, se già è possibile attraverso lo studio, la lettura di libri o la visioni di film e documentari rendersi conto di ciò che fu la Shoah e conoscerne ogni aspetto storico, solamente ascoltando direttamente la narrazione di chi ha vissuto quell’inferno si riesce davvero a subire un impatto emotivo ineguagliabile.
In questo articolo andremo a fare insieme una panoramica generale sui sopravvissuti, come hanno fatto e il difficile reinserimento in società.
Conosceremo inoltre i dubbi che hanno colpito alcuni di loro, indecisi se raccontare la propria esperienza, e il timore di non essere creduti visto l’incredibilità di ciò che avevano provato sulla loro pelle.
Andremo poi a vedere un po’ più nello specifico le storie di alcuni dei sopravvissuti più famosi.
Indice dei contenuti
Chi sono i sopravvissuti di Auschwitz?
I deportati erano coloro che venivano presi e condotti ai campi di concentramento da parte dei nazisti. Essi erano principalmente ebrei, ma anche slavi, russi, sinti e, più in generale, persone sgradite al regime.
Essere deportato significava compiere un viaggio disumano sui treni della morte fino al campo di concentramento.
Una volta giunti qui, erano solamente due le possibilità: se il deportato era considerato abile al lavoro veniva internato dopo essere stato spogliato di ogni bene, rasato e marchiato con un numero identificativo; altrimenti, se considerato non abile, il prigioniero veniva direttamente condotto alle camere a gas e ucciso.
Sopravvivere all’interno del campo era quasi impossibile. La morte era, infatti, assai frequente e le cause possibili per perire erano diverse: anzitutto, bastava la discrezione di una SS o essere considerati non abili dai medici del campo, in primis Josef Mengele.
Altre frequenti cause di morte erano le pessime condizioni: i prigionieri, costretti al freddo con vesti leggere e malnutriti, morivano di stenti, d’ipotermia o per malattie contratte a causa delle pessime condizioni igienico sanitarie.
Da non sottovalutare anche i turni massacranti di lavoro che sfiancavano gli internati, indebolendo sia loro che le difese immunitarie.
Le continue vessazioni e l’aspetto psicologico, infine, spingeva molti detenuti al suicidio, ad esempio colpendo la recinzione elettrificata del campo.
Per sopravvivere ad Auschwitz, occorreva in primis fortuna, poi bisognava avere una forte salute fisica, resistenza mentale, spirito di adattamento; in più, alcuni fattori potevano influenzare positivamente: ad esempio una persona giovane aveva più possibilità di resistere alle dure condizioni del campo o di non essere scelto dai medici per le camere a gas.
Infine, alcune persone riuscirono a salvarsi anche grazie a condizioni particolari o ad alcune abilità: ad esempio i prigionieri che parlavano tedesco spesso riuscivano ad evitare le prime selezioni, oppure un esempio è fornito dalla famiglia Ovitz, composta da persone affette da nanismo e per questo tenute in vita poiché Josef Mengele desiderava eseguire esperimenti su di essi.
Storie di sopravvissuti di Auschwitz
Tra i sopravvissuti, alcuni si sono poi impegnati per raccontare la propria esperienza una volta tornati a casa.
Desideravano in parte esorcizzare il dolore, in parte urlare al mondo le brutalità subite perché doveva essere fatta giustizia e perché ogni uomo doveva sapere di cosa era stato capace l’essere umano. Così, molti di loro ci hanno lasciato una testimonianza preziosissima.
Primo Levi

Foto di Corriere, Pubblico dominio, Wikipedia.org
Primo Levi era uno scrittore e chimico italiano, nato a Torino nel 1919.
Durante la tremenda tirannia fascista, Levi partecipa a gruppi d’azione partigiani, ma nel dicembre del ’43 viene catturato e nel febbraio dell’anno successivo viene inviato ad Auschwitz, dove rimane fino alla liberazione da parte dell’Armata Rossa.
Levi raccontò di essere sopravvissuto grazie ad una serie di coincidenze fortunate: anzitutto, conosceva un rudimentale tedesco.
Inoltre, fu utilizzato, in quanto chimico, nell’industria che produceva gomma sintetica per cui Auschwitz forniva manodopera.
Infine, incontrò un muratore, un civile occupato che gli portò regolarmente del cibo seppur rischiando la sua stessa vita.
L’ultima fortuna raccontata dal sopravvissuto consiste nel fatto che nel gennaio del 1945 si ammalò di scarlattina, perciò, quando i nazisti scapparono costringendo i deportati alle atroci marce della morte, lo abbandonarono in ospedale dal momento che avevano scelto di lasciare indietro i malati.
Anche il viaggio di ritorno fu travagliato, come racconta l’autore stesso nel suo libro “La tregua”.
Tornato a Torino cominciò subito a scrivere la sua testimonianza, tanto che già nel 1947 era pronto il manoscritto di “Se questo è un uomo”.
Molti editori, però, lo rifiutarono ad eccezione di una piccola casa editrice il libro non trovò grande successo.
Levi, però, cominciò ad andare nelle scuole e diffondere la sua testimonianza di sopravvissuto: si rese conto che la gente aveva interesse, soprattutto i giovani.
Così, il libro conosce una seconda edizione, questa volta presso Einaudi, con grande successo, e Levi raggiungerà l’obiettivo di far tradurre la sua opera in tedesco.
Sebbene si impegnò molto nel consegnare la sua testimonianza alle nuove generazioni, e tornò anche ad Auschwitz in due occasioni per alcune commemorazioni, l’11 aprile del 1987 si suicidò gettandosi dalla tromba delle scale dello stabile in cui viveva.
Elie Wiesel

By John Mathew Smith & www.celebrity-photos.com from Laurel Maryland, USA – ELIE WIESEL, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=80101760
Anche Wiesel fu un sopravvissuto di Auschwitz.
Nato in Romania nel 1928, si trovò sotto le leggi razziali dopo che i tedeschi occuparono il territorio ungherese, dopo aver accusato lo stato di collaborazionismo con gli alleati.
Così Wiesel fu condotto con la sua famiglia nel ghetto fino al 6 maggio 1944 quando subì la deportazione ad Auschwitz.
Wiesel fu separato dalla madre e dalla sorella, ma riuscì a vivere con il padre fino alla liberazione del campo, quando i due furono costretti a marciare fino al campo di Buchenwald.
Qui, il padre di Wiesel fu picchiato dai nazisti poiché troppo lento nel lavoro a causa della dissenteria e della stanchezza, in seguito fu aggredito da altri detenuti che volevano rubargli il poco cibo; non si riprese e morì poco prima dell’arrivo degli americani.
Per dieci anni Wiesel si rifiutò di trattare l’argomento dell’Olocausto, troppo segnato dall’esperienza, fino a quando lo persuase François Mauriac, suo amico e vincitore del Nobel per la letteratura nel 1952.
Il primo scritto fu “E il mondo rimane in silenzio”, che poi accorciò e diede origine al suo più grande successo: “La notte”.
Nella sua vita, Wiesel si impegnò scrivendo oltre 40 libri e la sua opera è considerata la più importante avente per tema l’Olocausto, al punto che nel 1986 ha vinto il Nobel per la pace per il suo impegno di sensibilizzazione contro la violenza, la repressione e il razzismo.
Diventa così un oratore popolare sul tema della Shoah e un importante attivista politico, impegnandosi anche molte volte nelle scuole per diffondere la sua testimonianza.
Muore nel 2006, a 87 anni.
Eva Mozes Kor

Febbraio 1945: alcuni bambini di Mengele sopravvissuti ad Auschwitz all’indomani della liberazione del campo (Eva è in prima fila a sinistra). Foto di Alexander Voronzow and others in his group, ordered by Mikhael Oschurkow, head of the photography unit – https://collections.ushmm.org/search/catalog/pa14532, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=17282223
Sopravvissuta ad Auschwitz dove fu deportata nel 1944, anche Eva Mozes Kor era rumena come Wiesel.
Non appena arrivata al campo con la famiglia, fu scelta insieme alla sorella gemella affinché Mengele potesse condurre esperimenti su di loro. Il resto della famiglia fu invece ucciso immediatamente nelle camere a gas.
Le gemelle avevano solamente dieci anni quando il sadico medico si accaniva su di loro usandole come cavie.
Eva fu vittima di due tipologie di esperimenti: il primo consisteva in approfondite misurazioni anatomiche per confrontarla con la sorella, e il secondo in ingenti prelievi di sangue e iniezioni di sostanze di natura ignota.
Le gemelle furono liberate solamente con l’arrivo dei sovietici e si trasferirono prima in Israele e poi negli Stati Uniti.
La sorella di Eva, però, morì nel 1993 a causa di un cancro causato dalle iniezioni subite ad Auschwitz.
La donna fu caratterizzata dalla sua volontà di diffondere un messaggio di perdono: al processo di Oskar Gröning, il ragioniere di Auschwitz, gli strinse la mano e chiese alla corte di tramutare la condanna al carcere in lavori socialmente utili consistenti in incontro con i più giovani.
Diffuse anche un video messaggio in cui dichiarava di aver perdonato Mengele ed adottò Rainer Hoß, il nipote di Rudolf Hoß.
Morì nel 2019 durante un viaggio in Polonia organizzato dal museo da lei fondato.
Sfide post-liberazione
Dopo essere riusciti a fuggire dall’incubo del campo di sterminio, per i sopravvissuti si aprì una nuova fase di vita altrettanto difficile.
Anzitutto, molti avevano perso ogni cosa: casa, risorse e soprattutto affetti.
Senza un posto in cui andare e senza un familiare da riabbracciare. Inoltre, dovevano convivere con il complicatissimo aspetto psicologico: il peso di ciò che avevano vissuto fu per molti insostenibile.
I traumi psicologi continuarono negli anni, il dolore, il non riuscire a comprendere a trovare pace, la paura che tutto quello che avevano vissuto sarebbe anche potuto accadere nuovamente.
Per questo molti si adoperarono, chi subito e chi invece dopo anni di assestamento, affinché il mondo conoscesse ciò che era accaduto dietro i cancelli di Auschwitz e di tutti i campi di sterminio: l’umanità doveva fare i conti con tali brutalità.
Molti, al ritorno, tra cui anche Primo Levi, ebbero il timore di non essere creduti o che potessero ingigantire la propria testimonianza: era talmente tragica che riuscire a raccontarla ed essere creduti non era cosa semplice.
Fortunatamente, però, i sopravvissuti non hanno desistito e ci hanno lasciato le loro testimonianze.
Essi hanno infatti un ruolo fondamentale per quanto riguarda la memoria storica: i fatti sono stati ricostruiti anche grazie ai loro racconti.
Inoltre, hanno capito l’importanza di parlare con i giovani e le nuove generazioni: l’impatto emotivo che ha parlare con un sopravvissuto ha assicurato che queste testimonianze venissero tramandate con forte presa su chi, ai tempi, non era ancora nemmeno nato.
Sono storie essenziali, perché ci raccontano di cosa è capace l’uomo, dell’importanza dell’essere umano, di non voltarsi dall’altra parte e di non cedere all’indifferenza.
Ci insegnano anche che il confine tra vittime e carnefici è sottile: bisogna sempre schierarsi a favore del buon senso e dell’essere umano, combattendo razzismi e soprusi.
Infine, bisogna anche considerare l’importanza delle testimonianze durante le commemorazioni e soprattutto i processi che sono stati fatti dopo le guerre e che hanno permesso di consegnare alla giustizia molti nazisti.
Sopravvissuti Olocausto: Domande frequenti
Si stima che circa 7.000 persone siano state liberate ad Auschwitz dall’Armata Rossa nel gennaio 1945.
Le storie di Primo Levi, Elie Wiesel ed Eva Mozes Kor sono tra le più conosciute e rappresentative della prigionia nei campi di sterminio nazisti.
Molti sopravvissuti ai campi di concentramento hanno affrontato enormi difficoltà psicologiche e sociali. Alcuni hanno trovato sollievo raccontando le loro esperienze attraverso libri e conferenze, altri hanno preferito tenere tutto dentro per un po’.
Per molti sopravvissuti è risultato gratificante parlare con le nuove generazioni, informarle e trasmettere loro valori importanti cercando di mettere a frutto, per quanto possibile, l’orrore vissuto sulla loro pelle.
Le testimonianze aiutano a comprendere l’impatto umano dell’Olocausto e a prevenire che simili atrocità si ripetano: le persone coinvolte erano persone normali, non mostri crudeli.
Ascoltare le testimonianze ci permette di comprenderlo e ci insegna che non bisogna voltarsi mai dall’altra parte cedendo il passo all’indifferenza.
Sopravvissuti alla Shoah: Conclusioni
Eccoci dunque giunti alla parte conclusiva del nostro articolo. Abbiamo visto insieme una panoramica su come hanno fatto i sopravvissuti a resistere alle atrocità dei campi di concentramento, e il difficile reinserimento in società una volta terminata la guerra.
Ti ho poi narrato le storie di tre sopravvissuti di Auschwitz tra i più famosi, spiegandoti anche il perché dell’importanza delle testimonianze dei sopravvissuti.
Infine, ho risposto alle domande più frequenti, ma qualora ne avessi delle altre non esitare a contattarci con un commento qua sotto.
Se desideri conoscere altre storie legate alla Shoah, ti invito a visitare il resto del nostro sito: troverai tutto ciò che ti serve per organizzare una visita ad Auschwitz-Birkenau.
È necessario conoscere Auschwitz per poter vivere il nostro futuro perché, come disse Primo Levi: “Tutti coloro che dimenticano il loro passato sono condannati a riviverlo”.